Isola dei Cavoli – Villasimius

L’Isola dei Cavoli è una piccola isola granitica che si trova a meno di un chilometro a sud-est di Capo Carbonara.
Ha una superficie di 0,4 chilometri quadrati e rappresenta l’ultimo lembo emerso del complesso granitico della Sardegna sud orientale, dal quale è stato isolato circa 10-12 mila anni fa, in seguito all’innalzamento del livello del mare.
Sul punto più alto dell’isola, circa 40 metri, grava la mole imponente di un faro, costituito da una base a forma di parallelepipedo, su due piani, comprendente gli alloggi degli addetti all’accensione giornaliera, e dalla torre cilindrica, che porta a quota 37 metri di altezza l’intero edificio. Il faro fu realizzato intorno al 1856, inglobando una torre difensiva spagnola, costruita nel 1591.
Sull’origine del suo nome, si sono fatte varie ipotesi. Secondo una prima ipotesi, esso deriva dal sardo “is càvarus” che significa i granchi, per la sua forma che ricorda quella di un granchio. Secondo un’altra teoria, pare che il nome sia dovuto alla grande diffusione del cavolo selvatico sul suo territorio.
Le coste, molto frastagliate, presentano alcune piccole insenature attorniate da massi granitici spesso di notevoli porzioni.
I nomi vennero loro attribuiti intorno agli anni 20 del ventesimo secolo, dai fanalisti che vi abitarono con le loro famiglie. Cala di Ponente, per la posizione geografica rivolta verso la costa : un’insenatura stretta che presenta una piccola banchina accessibile alle piccole imbarcazioni. Cala del Morto, rivolta più a sud, verso Cagliari, così chiamata perché nella prima metà del secolo vi era approdato , trasportato dalle correnti marine, il cadavere di un uomo. Cala del Ceppo, dove stazionava un grosso ceppo, residuo di un vecchio albero. Cala di Scasciu, attribuitogli da un fanalista proveniente dall’isola di La Maddalena, che nel dialetto di quell’isola significa “Cala del Divertimento” in quanto, essendo la più grande e protetta dai venti era quella che si adattava meglio per le scampagnate.
A tre di queste piccole località, la tardiva toponomastica ufficiale attribuisce nomi assonanti, che meglio si adattano al dialetto locale: Cala Murta, dal nome del cespuglio che produce le omonime bacche, il mirto. Cala Cipro, dall’etimologia non accertata. Cala Is Cascias che significa Cala delle Casse. L’isola è stata abitata fino a tempi recentissimi dagli addetti del faro. E’ stata per taluni rifugio sicuro dagli orrori della guerra, per altri teatro di tragici avvenimenti. Nel periodo della seconda guerra mondiale non è mai stata oggetto di bombardamento e costituiva un sicuro rifugio per gli operatori che vi erano destinati e le loro famiglie. Intorno agli anni 70, alcuni fanalisti che vi operavano, manifestarono il loro disagio incidendo su in grosso masso di granito la seguente frase in lingua latina: Cavoli insula, carcer sine claustris (Isola dei Cavoli, carcere senza sbarre). Attualmente, essendo ormai automatizzato il funzionamento del faro, l’isola è disabitata e ospita il centro ricerche della Facoltà di Biologia dell’Università di Cagliari, che la utilizza per attività di ricerche botaniche e zoologiche.
L’isola fa parte dell’Area Protetta di Capo Carbonara che comprende anche la zona di mare che va da Capo Boi fino all’Isola di Serpentara.
Nel 1979, nella parte sud, è stata deposta sul fondo marino, alla profondità di circa dieci metri, una statua dello scultore Pinuccio Sciola dedicata alla Vergine del mare, patrona del naufrago e protettrice dei naviganti. Il giorno otto di settembre, vi si svolge un’importante sagra, con la spettacolare processione di barche provenienti dalla vicina costa di Villasimius, culminante con festeggiamenti, canti tradizionali e balli in costume.
I fondali sono rocciosi e consigliati agli amanti delle immersioni per la varietà di fauna e flora presenti nelle acque cristalline ed azzurre e la grande varietà di colori ed ambienti. Sull’isola si trovano piccole spiaggette circondate da una vegetazione incontaminata, tra i Cavoli e la spiaggia di Simius per esempio, il fondale è caratterizzato da imponenti quantità di sabbia accumulate migliaia di anni fa, quando la zona era tutta emersa e battuta da fortissimi venti. Nei fondali possono ancora osservarsi alcuni tipici esempi di erosione sub-aerea, come i tafoni, modellati quando le rocce erano in emersione, inoltre non mancano i relitti di navi affondate lo scorso secolo le quali, però, si trovano in genere a notevoli profondità.
La leggenda dell’Isola dei Cavoli
La leggenda narra del guardiano del faro, tale Signor Carta, che intorno al 1930 viveva nell’isola con la moglie e i tre figli. La loro vita era serena, nonostante i disagi dovuti alla posizione dell’isola, anche se gli aiuti arrivavano regolarmente e quando tardavano a causa delle condizioni del mare, poi tutto si aggiustava. Ma un giorno ebbero un’avventura che nessuno della famiglia ha mai scordato, al punto che una delle figlie, sposatasi con un marinaio e benché andata a vivere a Genova, del mare non ha mai più voluto nemmeno sentire nominare.
Una sera d’inverno, il tempo si era peggiorato nel giro di poche ore, si era levato un vento fortissimo ed il mare si era alzato con una forza mai vista.
La barca con i rifornimenti sarebbe dovuta arrivare a sera, ma per quel giorno e quello successivo non si vide, nei giorni seguenti il tempo si non si aggiustò per nulla e la famiglia, a corto di viveri, cominciava a trovarsi in serio pericolo. I genitori erano preoccupati per i bambini ancora piccoli, che non resistevano ai morsi della fame, e vinti dalla disperazione, uscirono a sfidare la bufera per cercare qualcosa da mangiare. L’isola non offriva niente, solo rocce e macchia mediterranea, con tanti bei profumi, ma niente di commestibile. Nell’anfratto di una roccia non trovarono un gabbiano morto, sbattuto contro le pietre dal maestrale. Cercarono ancora e trovarono altri gabbiani, così i due tornarono a casa con le loro prede. La madre li spiumò e li cucinò per bene con le erbe aromatiche raccolte sull’isola. Tanta era la fame della famiglia che i gabbiani vennero mangiati come se fossero i più prelibati fagiani del mondo, e nessuno di loro ne scordò mai il sapore.
Dopo quell’evento il faro cominciò a godere di una fama sinistra: si diceva che non era un’isola fortunata, e i guardiani non ci andavano volentieri. Passarono molti anni senza che niente di strano accadesse, finché negli anni 60 del Novecento, vi si trovava una guardiano che viveva da solo nell’isola. Non aveva potuto portare la famiglia perché i bambini andavano a scuola e lui, forse per occupare il tempo, forse temendo il ripetersi di qualche tempesta, si era messo ad allevare galline. Tutto andava bene, nonostante la fama infausta del faro, finché una notte il farista inciampò e cadde rovinosamente dalle scale della torre, rompendosi le costole che gli perforarono un polmone. Le condizioni del mare non erano per niente buone, e l’uomo comprese che gli aiuti non sarebbero arrivati in tempo. La tempra del guardiano ebbe il sopravvento: l’uomo si buttò in mare e nuotò verso Villasimius, dove arrivò stremato, fu soccorso e finalmente si salvò.
Un nuovo guardiano fu invitato a sostituirlo, e di lui si trovarono solo scarne tracce su vecchi ritagli di giornale. Forse la solitudine ha avuto la meglio, o forse il faro non voleva più essere disturbato, sta di fatto che da quei vecchi giornali risulta che l’uomo ha posto fine alla sua vita. Quel povero sventurato è stato l’ultimo guardiano che ha messo piede sull’isola che da allora è stata dotata di un faro automatizzato .